MUSIC GRAFFITI


E' l'estate del 1964 e Guy Patterson fa il commesso nel negozio di elettrodomestici del padre, ad Erie, in Pennsylvania. Di giorno, vende i tostapane ed i radio transistor; di notte, invece, si ritira nel seminterrato, siede alla batteria e si dedica al jazz. L'occasione della sua vita arriva quando un gruppo locale, a cui è venuto a mancare il batterista, gli chiede di sostituire quest'ultimo in un talent show del college.

Un mese dopo, "The wonders" sono delle stelle nella galassia della Play Tone Records: la loro canzone "That thing you do!" sale in vetta alle classifiche, ed i quattro ragazzi intraprendono un esaltante viaggio durante il quale assaporano non solo la celebrità, ma anche gli straordinari giorni del rock'n'roll.  "L'ho fatto per la mia salute mentale... Avevo bisogno di uno sfogo creativo che non avesse nulla a che fare con il film ("Forrest Gump", ndr ), così ho cominciato a scrivere" : questa la genesi di "Music Graffiti" raccontata con le parole del regista, Tom Hanks, al suo esordio dieto la macchina da presa dopo una serie di prove interpretative premiate in alcuni casi con l'Oscar.

E', diciamolo subito, un'opera prima che non resterà nella storia del cinema: racconta una vicenda altre volte inscenata con ben maggiore brio - un paragone con lo splendido "The committments" (1991 ) di Alan Parker, ad esempio, va a tutto favore di quest'ultimo - , seguendo in modo pedissequo le tappe canoniche del genere (la casualità degli inizi, il successo travolgente, i primi dissapori, la dissoluzione del gruppo) e poco concedendo all'estro pure nella delineazione dei caratteri. Come in "American graffiti " (1973), un'epigrafe finale ci mette al corrente del destino dei protagonisti: a differenza di quanto in esso avveniva, sarà lieto più o meno per tutti, confermando il fatto che qui ci troviamo più dalle parti di "Happy Days" che non dello spleen lucasiano.
   

Per una volta la traduzione italiana del titolo del film è - in qualche maniera - "illuminante" su un film che per Tom Hanks è stato poco più che un divertissment. A differenza, però, di American Graffiti e di altre pellicole ambientate negli anni Sessanta, Tom Hanks ricorda soltanto l’ingenuità di fronte alla vita, al successo, alle innovazioni tecnologiche e così via. Lontano dai fax, dai telefoni cellulari, dai computer e con la televisione a colori considerata come un "prodigioso ritrovato" della scienza e della tecnica, Hanks racconta la storia di quattro ingenui ragazzi della provinca americana, lanciati verso le vette delle classsifiche dei dischi venduti che all’epoca erano a 45 giri e non compact disc. Music Graffiti è un film divertente, melanconico al punto giusto, curato nei minimi particolari (dalle acconciature delle donne fino ai modelli di lavatrice) che assomiglia più a un documentario che a una vera e propria riflessione sul successo. E non possiamo rimanere immuni di fronte alla grande sensibilità piena di humour del Tom Hanks attore, regista e sceneggiatore di questo film, che nel suo indugiare sui particolari ci regala l’immagine di un’epoca ormai perduta da tempo perfino nella memoria cinematografica americana. I film sui favolosi sixties più recenti che abbiamo visto fino adesso, non avevano questa vena di spensieratezza più vicina a Happy Days che a Bronx o allo stesso già citato American Graffiti dove il Vietnam e i problemi sociali non erano semplicemente latenti nelle parole dei protagonisti. Music Graffiti è un film spensierato, sereno e allegro. Fa divertire, fa piangere e fa soprattutto sorridere per la sua grande verve ironica che affronta le piccole e antiquate manie di persone appartenenti a un’altra epoca. Da apprezzare anche il coraggio di Tom Hanks che ha scelto un gruppo di attori semisconosciuti per il suo primo film, se si eccettua la sempre bella Liv Tyler (Io ballo da sola, Empire Records) peraltro relegata in una parte di secondo piano alla quale la figlia del cantante degli Aereosmith si è adattata perfettamente. Insomma, Music Graffiti è un bel film, girato con accortezza e pignoleria, che, però, aiuta a distrarsi e distendersi. Un film pieno di grazia, che con leggerezza e simpatia racconta una storia inventata di uno dei tanti gruppi che, sulle orme dei Beatles riuscì a scalare la classifica dei dischi per poi tornare nell’anonimato. Ma anche in questo non c’è nessun rimpianto da parte del protagonista che perdendo il successo, guadagna in cambio il vero amore. Una strizzatina d’occhi di Tom Hanks a chi, dopo avere raggiunto il famoso quarto d’ora di notorietà, preferisce condurre una vita, forse, normale, ma certamente felice. Insomma, lo spirito del film potrebbe richiamare ciò che scrisse il filosofo polacco Stanislaw Lec: "Raggiungere la notorietà per permettersi l’incognito".
 



CAST TECNICO ARTISTICO
 
Regia, soggetto e sceneggiatura:Tom Hanks
Fotografia: Tak Fujimoto
Scenografia: Victor Kempster
Costumi: Colleen Atwood
Musica: Howard Shore
Montaggio: Richard Chew
Prodotto da: Gary Goetzman, Jonathan Demme, Edward Saxon (Usa, 1996)
Durata: 107'
Distribuzione cinematografica: 20TH CENTURY FOX
 
PERSONAGGI E INTERPRETI
Guy Patterson: Tom Everett Scott
Faye Dolan : Liv Tyler
Jimmy: Jonathon Schaech
Lenny: Steve Zahn
il bassista: Ethan Embry
Mr.White: Tom Hanks