Parliamo della
vita americana negli anni 50. In questa
pagina continueremo a parlare degli artisti
e delle tendenze della vita Americana negli
anni '50. Cercheremo di raccontare un'epoca
indimenticabile, dove il suono dei motori e
del Rock 'n' Roll trionfavano.
DRIVE-IN
AMERICA 50'S
Tutti hanno visto almeno una volta Grease,
e tutti ricordano la brillantina nei capelli di
Danny Zuko, la trasformazione della dolce Sandy
e le note di “Summer Nights”. Manca altro?
Ovvio, l’appuntamento al drive-in. Simbolo
dell’America anni 50, questo particolare modo di
guardare i film ha appassionato milioni di
persone e lo fa ancora oggi. L’affascinante
atmosfera è forse ciò che più lo caratterizza.
La sensazione data da una calda serata estiva
passata in una decappottabile di fronte a un
megaschermo è impagabile, e chi l’ha vissuta può
confermare.
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Sapere come nasce il
drive-in potrà sembrarci banale, ma
all’epoca dei film muti non lo era affatto.
L’idea è di Richard Hollingshead, direttore
vendite in una società di ricambi d’auto,
e l’invenzione è dedicata a sua madre.
Richard voleva trasportare il grande schermo
in un posto più comodo, e così fece,
inchiodando un lenzuolo agli alberi del suo
giardino e proiettandoci sopra le immagini.
Era il 6 giugno 1933, più di vent’anni prima
del periodo d’oro dei theatre drive-in. Lo
sviluppo non fu immediato, ma la formula era
vincente: combinare bassi prezzi, sia per
gli spettatori che per i costruttori,
a un’aria informale accessibile a tutti.
Questo permise di competere con i più
raffinati door theatre e, proprio in
opposizione ad essi, nacque il trinomio
Coca-Cola-film-popcorn. Nella seconda metà
degli anni 50 si raggiunge l’apice del
successo. Sarà per il boom automobilistico,
sarà per l’originalità, ma i cinema drive-in
diventano oltre 4000 negli Stati Uniti ed
escono dai confini. Il primo nel nostro
Belpaese è il Metro drive-in di Roma,
raccontato oggi con le fotografie in bianco
e nero. Alle porte degli anni ‘70 il
declino, improvviso e inesorabile a causa
dei miglioramenti di suono e audio che solo
le sale cinematografiche potevano attuare,
a causa dell’irruzione nelle case delle
prime tv via cavo e per colpa della crisi
energetica. I “cineparcheggi” non sono più
adatti e nemmeno così innovativi.
I superstiti permettono di soddisfare le
esigenze del “nostalgia boom” negli ultimi
anni del ventesimo secolo.
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STORIA DEL CINEMA DRIVE-IN
Il 6 giugno del 1933 in un posto
chiamato Pennsauken – al di là del fiume
Delaware, a pochi chilometri da Philadelphia,
negli Stati Uniti – un rivenditore di parti di
ricambio per automobili, Richard
Hollingshead, aprì il primo cinema drive-in.
Dieci anni dopo negli Stati Uniti ce n’erano
circa un centinaio. Nel 1956 erano più di 4 mila
e vendevano più biglietti dei cinema
normali. Il drive-in di Mr Hollingshead
Secondo la storia ufficiale, il drive-in nacque
grazie a una donna sovrappeso. Si trattava di
miss Hollingshead, madre di Richard Milton
Hollingshead Junior, un ragazzo, all’epoca, nato
nel 1900. Sua madre, stando sempre alla versione
ufficiale del racconto, aveva dei problemi a
sedersi nelle poltrone dei cinema dell’epoca – i
cosiddetti palace, i cinema degli anni Venti che
ancora venivano costruiti con il lusso e la cura
che di solito si dedicava ai grandi teatri.
ichard cominciò a pensare a una soluzione a
questo problema e nel 1932 ne venne a capo.
Sistemò la madre nell’auto di famiglia, inchiodò
un lenzuolo tra due alberi del suo giardino e
proiettò un film – per la sua famiglia e per
tutti i vicini che abitavano nella viale. L’idea
funzionò e così Hollingshead decise di farne un
business. Per diversi mesi fece parecchi
esperimenti: come migliorare la qualità
video, come far arrivare l’audio a tutte le
automobili e come disporle per permettere alle
file più indietro di vedere lo schermo (utilizzò
delle rampe e dei blocchi, una soluzione che poi
non ebbe molto successo). Alla fine, con alcuni
parenti, mise in piedi una piccola società e il
18 maggio del 1933 registrò il brevetto della
sua idea (una storia nella storia: Hollingshead
ebbe sempre grandi difficoltà a ottenere le
royalties sulla sua idea e alla fine, nel 1950,
un tribunale dichiarò il brevetto invalido). Il
6 giugno 1933 il drive-in era pronto per il
primo spettacolo. All’epoca l’audio era diffuso
da alcuni altoparlanti direzionali – nei
drive-in degli anni successivi sarebbero stati
sostituiti da piccoli altoparlanti in cima a un
palo, uno per ogni auto. Lo slogan per quella
prima serata era: “l’intera famiglia è
benvenuta, non importa quanto i bambini sono
rumorosi”. Hollingshead proiettò una commedia
inglese con Adolph Menjou, Beware Wife.
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Il biglietto costava 25 centesimi e quella
sera ci fu il tutto esaurito. Il successo
dei drive-in In pochi anni l’idea di
Hollingshead si diffuse in tutti gli Stati
Uniti: prima lentamente – appena un
centinaio di nuovi drive-in in dieci anni –
e poi rapidissimamente negli anni
Cinquanta. Il drive-in era una formula
vincente: costava poco entrarci per gli
spettatori e costava poco costruirli per gli
imprenditori: era sufficiente un pezzo di
terreno, un po’ di cemento, delle casse e un
proiettore. In cambio il guadagno era
assicurato. Non tanto grazie ai biglietti: a
riempire le casse dei drive-in erano le
vendite di Coca-Cola e popcorn. I pop-corn
sono un cibo buono, facile da preparare e da
consumare, e sopratutto estremamente
economico. Fino al 90 per cento del prezzo
di un pop-corn è tutto guadagno per il
venditore. Il trinomio CocaCola-film-popcorn
venne praticamente inventato dal cinema
drive-in: nei raffinati cinema stile anni
Venti di sicuro non si poteva entrare con
del cibo unto da mangiare con le mani. |
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La fine dei drive-in Dopo circa due
decenni di grande successo, il drive-in
conobbe una fase di rapido declino. Oggi ne
sono rimasti circa 400 in tutti gli Stati
Uniti e un altro centinaio nel resto del
mondo – alcuni anche in Italia, tra cui il
Metro drive-in di Roma che ha riaperto nel
1997. Le cause di questa crisi, che fu una
crisi principalmente degli Stati Uniti,
visto che nel resto del mondo i drive-in non
riuscirono mai ad attecchire veramente, sono
molte. La qualità video e sopratutto audio
dei drive-in non è mai stata particolarmente
buona: se negli anni Cinquanta la differenza
non era facile da percepire, col passare
degli anni e l’arrivo di tecnologie stereo e
poi surround si è fatta sempre più marcata.
Nel successo e nel declino del drive-in
influì anche un fattore culturale. Il
drive-in sintetizzava l’eccezionalità
americana: un paese dove già negli anni
Trenta moltissime famiglie possedevano
un’automobile e aveva il tempo e i soldi per
andare al cinema. Recarsi in un drive-in era
anche una questione simbolica e di status,
ma vedere un film attraverso un parabrezza
sporco e ascoltandolo da una cornetta tipo
telefono del primo Novecento non era certo
il modo migliore per goderselo. Altre cose
hanno influito. Per via dei bassi
investimenti necessari per costruirli, i
drive-in sono quasi sempre stati iniziative
imprenditoriali familiari, e non sempre i
figli hanno voluto continuare l’attività dei
genitori. I drive-in erano stati tutti
costruiti nelle periferie delle città: col
tempo queste sono cresciute e i drive-in
sono stati inglobati, provocando un grande
aumento del valore dei terreni su cui
sorgevano i cinema, spesso ampi interi
chilometri quadrati. Così negli anni
Ottanta, davanti un pubblico che si faceva
sempre meno numeroso, i proprietari
cominciarono a vendere gli spazi dei cinema,
uno dopo l’altro, per molte volte il prezzo
a cui li avevano comprati. |
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LE PIN UP
Chi non le ricorda, avvenenti e invitanti
ragazze, mentre ammiccano dalle cartoline, dai
calendari e dalle “immaginette” spillate (To
pin in inglese significa appunto “spillare”)
nelle cabine dei camionisti americani. Dagli
anni '30 agli anni ’50, quando persino la moda
le prende come modello e le dive dello schermo
prestano volentieri i loro volti, queste donnine
formose, vestite succintamente e sempre con il
sorriso stampato sulle labbra, hanno fatto
sognare milioni di uomini americani. E non solo
gli americani! Il fenomeno della pin up art però
nasce molto prima, alla fine dell’Ottocento per
l’esattezza, ed esattamente in Francia, con
l’apparizione delle illustrazioni di ragazze in
deshabillé sulle copertine di riviste di
successo come “La vie parisienne”. La fama di
queste donnine, sempre poco vestite e dagli
sguardi ammiccanti, non tarda molto a varcare
l’oceano. Nel 1916, infatti, il loro ideatore
Raphael Kirchner viene chiamato nella lontana
America per decorare con le sue pin up il Foyer
delle Follies di Broadway. Sarà proprio in
America che, a cavallo tra gli anni ’20 e ’30,
le illustrazioni di queste signorine discinte
prenderanno il loro stile inconfondibile: un
modello di femminilità caratterizzato da una
bocca sempre aperta, enfatizzata da un rossetto
intenso. Gli occhi semichiusi truccati
pesantemente, una grande attenzione alle gambe
tornite, nude o inguainate in calze di seta
(grande richiamo sessuale per il pubblico
maschile dell’epoca), stagliate su uno sfondo
bianco che elimina qualsiasi elemento di
disturbo. La grande popolarità però arriva
grazie agli occhi attenti di alcuni editori che
notano l’evidente trasporto che le pin up
suscitano nel pubblico, oltre alla loro capacità
di far scordare i tristi momenti della
depressione. Ed è così che alcuni periodici come
“Gay parisienne”, “Silk stocking stories” e case
editrici di riviste horror si assicurano la
presenza di queste provocanti raffigurazioni.
Negli anni ’40 la grande svolta: infatti si
registra l’uscita del primo periodico
interamente dedicato alle pin up: “Beauty
parade”. Nello stesso periodo alcune case di
produzione di calendari e poster, si assicurano
i migliori artisti del campo, cresciuti in
numero e ognuno con il proprio metodo.
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Tra i più importanti citiamo Earl Steffa
Moren, che ritrae e lancia le ancora
sconosciute Marilyn Monroe e Jayne
Mansfield; Gil Elvgren che ha il merito di
portare la malizia delle pin up nei poster
pubblicitari della coca-cola; Zoe Mozert
(nome d’arte di Alice Adelaidemoser),
l’unica artista donna, che dipinge Jane
Russel nei manifesti per il film di Howard
Huges “Il mio corpo ti scalderà”; George
Petty, famoso per le sue “conigliette”
disegnate per “Esquire”; a lui subentrerà il
peruviano Joaquin Alberto Vargas y Chovez,
il quale poi passerà a “Playboy”, la rivista
che sostituì gli abiti attillati o
trasparenti disegnati sulle forme delle pin
up, con disinvolte nudità. Siamo negli anni
del secondo conflitto mondiale e le pin up
invadono i campi militari, ritratte su
scatole di fiammiferi, portasigarette
e…sulle bretelle. Una pin up con il volto e
le forme di Rita Hayworth fu addirittura
disegnata sulla bomba atomica di Bikini.
Negli anni ’50 e ’60 le pin up riconfermano
il loro successo: le ritroviamo ritratte
sulle copertine dei paperbacks (i libri
tascabili) e su quelle di Mistery (i
gialli). Tra i titoli più famosi dei primi
ricordiamo “La vita privata di Elena di
Troia” di John Erskwe, e “Gli uomini
preferiscono le bionde”, il mitico libro di
Anita Loos da cui è stato tratto il mitico
film con Marilyn Monroe e Jane Russel. Tra i
secondi ricordiamo le copertine di alcuni
gialli di Agatha Christie. L’Italia,
all’epoca dell’esplosione delle pin up,
rimase indifferente: forse la morale comune
le considerò un po’ spinte. Al massimo ne
rifece il verso, con grande cautela, in
alcuni lungometraggi come in “Poveri ma
belli”, dove Marisa Allasio veste i panni di
una timida pin up nostrana. Oggi i rari
disegni originali delle pin up si comprano
alle aste d’arte per non meno di 35 milioni. |
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LENNY BRUCE
E’ stato definito sporco, a causa del
suo linguaggio colorito e audace. E’ stato
definito pazzo, perché ha affrontato tematiche
scomode per il suo pubblico e scottanti per il
suo tempo. E’ stato definito un profeta, perché
le sue battute parlavano direttamente alla
coscienza di chi ascoltava, mettendo in crisi i
valori e le certezze del suo tempo. E poi il suo
stile ha influenzato tutta la comicità moderna,
non si può trascurare questo dettaglio. Si
esibiva nei bar di North Beach a S.Francisco.
Era pronto a sparare parole su qualsiasi
argomento, a patto di far male, a tutti, lui
compreso. La sua ascesa viaggia parallela a
quella dei Beat: era amico di Bob Dylan, Philip
Dick, William Borroughs, Charles Bukowsky,
Timothy Leary. Esordì al Ann’s 400 club, proprio
nel periodo in cui Ferlinghetti e Ginsberg erano
nel mezzo della bufera giudiziaria legata al
processo “Howl”, il poema che mandò in tilt
l’America. Esce “On the road” di Jack Kerouac e
il mondo intero conosce il fenomeno beat. Era il
1957. Bastò una recensione positiva di due dei
giornalisti più importanti della Bay area, Cherb
Caen e Ralph Gleason, e le serate di Lenny
cambiarono completamente. Accanto al pubblico di
affezionati, si aggiunse un’enorme folla di
curiosi: così iniziò lo strepitoso successo di
Lenny Bruce. Arrivarono la fama, la gloria, (il
denaro), ma anche le prime denunce. Fu accusato
di oscenità in luogo pubblico, detenzione e uso
di stupefacenti. Era costantemente inseguito dai
creditori e dalla Legge. Morì il 3 Agosto del
1966 per overdose di morfina.
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Si spegne così, nello squallore di una
stanza di albergo, un mito, che faceva paura
perché aveva il dono di parlare alla
coscienza. Le battute di Lenny un piccolo
omaggio L’eredità che ci ha lasciato il
comico è costituita da due album di parole:
“Interviews of our time”, che è una raccolta
delle sue celebri battute, e “Ladies &
Gentleman: Lenny Bruce!”, che è la sua
autobiografia. Il regista BobFosse ha
dedicato un film a questo artista e alla sua
travagliata vita, si chiama “Lenny” (1974),
protagonista un giovane Dustin Hoffman nei
panni del memorabile comico. Noi vogliamo
ricordare Lenny Bruce con le stesse parole
che lui pronunciava nei suoi spettacoli,
riportando due celebri battute. Dopo la
prima guerra, quattro psichiatri mi
convocarono al Newport Naval hospital. Il
primo ufficiale: “Ha mai avuto rapporti
omosessuali?”, Lenny: “No, Signore!”.
Secondo ufficiale: “Le piace la compagnia
delle donne?” Lenny: “Certo, Signore”. Terzo
ufficiale: “Le piace avere rapporti con le
donne?”, Lenny: “Certo, Signore.”. /td>
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Quarto ufficiale: “Le piace indossare abiti
femminili?”, Lenny: “Qualche volta”. Insieme
i quattro ufficiali: “E quando succede
questo?”, Lenny: “Tutte le volte che gli
abiti mi stanno bene”. Fui cacciato come
indesiderabile. Quando ho divorziato, un
paio di riviste mandarono, cinque anni dopo,
qualcuno per farmi la solita domanda: “Che
cosa è successo al tuo matrimonio?”. “E’
stato distrutto da mia suocera”, risposi. E
il reporter ride. “La suocera?! Ah, ah,
ah... Cosa è successo?”. Ed io: “Mia moglie
è tornata presto dal lavoro e ci ha trovato
a letto”. Il reporter: “A letto!? Ma questo
è perverso!”. Ancora io: “Perché!? Era sua
madre, non la mia!” Questo era Lenny
Bruce. |
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IL FASCINO DELLE CANZONI AMERICANE ANNI ’50 LLe canzoni americane degli Anni
Cinquanta ci riportano alla mente un periodo
di grande fermento, di grande gioia e
infinito entusiasmo. Un juke box che suona è
sempre nostalgico e affascinante:
l’imperfezione del suono diventa,
paradossalmente, la concretizzazione
perfetta di una memoria meravigliosa. Ve lo
ricordate? Il juke box aveva colori
sgargianti e forme sinuose, ed era il
co-protagonista perfetto di tanti film e
serie televisive ambientate negli Anni
Cinquanta. Come dimenticare, ad esempio, il
juke box del bar di Arnold, nella celebre
serie TV “Happy Days”? Bastava inserire una
monetina (o, nel caso di Fonzie, colpirlo
con il pugno ben assestato) e scegliere la
canzone che si desiderava ascoltare, e gli
Anni Cinquanta improvvisamente diventavano
musica. E così si poteva danzare sulle note
di un lento, oppure lasciarsi andare a un
ballo scatenato se la canzone era un
rock’n’roll irresistibile. In quale contesto
musicale si inquadrano le canzoni Anni
Cinquanta? Come certamente sapete, le
melodie e i suoni hanno, nel corso delle
decadi, dato vita a tantissimi stili
musicali differenti che riescono ancora oggi
a trasmetterci le stesse emozioni e
atmosfere dell’epoca.
Parlando degli
Anni Cinquanta, c’è da dire che sono stati
quelli che hanno di fatto cominciato una
vera e propria rivoluzione musicale e
sociale. Pensate ad esempio agli artisti di
punta di quel periodo: Chuck Berry, Bill
Halley, Elvis Presley… nomi che ancora oggi
sono immediatamente riconducibili a brani
immortali. Gli Anni Cinquanta sono stati
naturalmente il periodo del rock’n’roll, ma
anche del Jazz e dello Swing, del Country e
del Blues. Contestualmente, sempre in questo
momento storico nasce il cosiddetto Pop, e
il crossover inteso come commistione di più
generi: Elvis era maestro in questo! Da un
punto di vista culturale, le canzoni
rock’n’roll Anni Cinquanta erano
incomprensibili ai genitori dei giovani
dell’epoca, e venivano considerate rozze,
volgari e assordanti. È tuttavia proprio per
questa ragione che questo stile musicale è
giudicato ancora oggi come la prima musica
generazionale, ossia destinata a utenti di
una precisa fascia d’età: non a caso uno dei
motti dell’epoca recitava “Saremo sempre
giovani!”. Poco prima degli Anni Cinquanta,
le canzoni del momento rientravano
principalmente in tre diversi filoni: nel
pop, quando si trattava di brani
commerciali, melodici e un po’ sdolcinati;
nel country e western, quando si rifacevano
ad antiche ballate ottocentesche attraverso
melodie semplici e orecchiabili,
generalmente suonate con la chitarra o con
il banjo; nel rhythm and blues, quando erano
brani dal ritmo molto accentuato, da
ballare. Con l’arrivo della seconda metà
degli Anni Cinquanta, invece, la fusione di
questi tre filoni principali diede vita al
rock’n’roll che tutti ricordiamo alla
perfezione. Questo stile è infatti
proprio la commistione tra i ritmi vibranti
del rhythm and blues, la struttura armonica
del blues e del pop e la melodia del
country. Infine, gli Anni Cinquanta sono
stati anche il primo periodo in cui un
interprete musicale utilizzò il suo corpo
come parte integrante della sua performance:
stiamo parlando naturalmente del grande
Elvis, per il quale i movimenti delle
braccia, delle gambe e del bacino (all’epoca
considerati addirittura scandalosi) erano un
vero e proprio veicolo espressivo. In
conclusione, la musica Anni Cinquanta è la
“nonna” ancora in perfetta forma dei generi
che ci accompagnano oggi, che le devono
moltissimo in termini di melodie e ritmi.
Ecco perché è difficile trovare qualcuno che
non apprezzi queste vecchie canzoni! Avete
voglia di ascoltarle? Qui da noi, a Old
America, il juke box è sempre in funzione.
Sedetevi a uno dei tavoli e chiudete gli
occhi: vi troverete immediatamente
catapultati negli Anni Cinquanta. |
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